Cosa Fare Nella Vita: La Mia Storia di Errori, Scelte e Rinascita Attraverso la Fotografia

Un racconto su errori, scelte, paura e libertà

Ci sono momenti nella vita in cui ti guardi allo specchio e non riconosci più chi hai davanti.
Hai fatto tutto “come si deve”: la scuola, il lavoro, la relazione stabile, la sicurezza. Eppure senti un vuoto dentro che non sai spiegare. Non è tristezza, è qualcosa di più profondo: la sensazione di vivere una vita che non è davvero tua.

Ho vissuto tutto questo sulla mia pelle. Non è una storia di successo, ma una storia di consapevolezza, di errori e di cadute. Una storia che forse assomiglia alla tua, perché non devi per forza essere un fotografo o un content creator per capire cosa significa sentirsi bloccato in un percorso che non ti appartiene.

Oggi voglio raccontarti come ho trovato la mia strada. E soprattutto come la fotografia, e più in generale la creatività, mi hanno salvato la vita. Non perché mi abbiano reso famoso o ricco, ma perché mi hanno permesso di tornare a respirare, a sentire, a vivere con un senso. E se c’è una cosa che ho imparato da tutto questo, è che non esiste un’età giusta per cambiare vita.

 

Content Elevation — Chi sono e perché puoi fidarti di me

Mi chiamo Walter Stolfi, sono un fotografo e content creator [ scopri di più su di me ].
Non ho iniziato a vent’anni con una camera in mano e le idee chiare: ci sono arrivato dopo anni di lavori che non amavo, ansie, attacchi di panico e scelte sbagliate.
Oggi viaggio per il mondo raccontando storie attraverso la fotografia e i video, ma soprattutto racconto cosa significa reinventarsi davvero, quando nessuno crede che tu possa farlo.

Scrivo questo articolo non per darti una ricetta magica, ma per mostrarti che anche se tutto sembra confuso, una direzione esiste sempre — e spesso inizia dove finisce la paura.

 

La prima scelta sbagliata

Avevo quindici anni, e come molti a quell’età, nessuna idea di chi fossi. Vivevo tra paure, insicurezze e quella strana sensazione di non appartenere a nulla. Ma una cosa la sapevo: non volevo essere come tutti gli altri. Mi spaventava l’idea di una vita già scritta, uguale per tutti, con tappe prestabilite da seguire senza mai chiedersi il perché.

Quando arrivò il momento di scegliere la scuola superiore, lo feci come fanno in tanti: per compiacere gli altri. Scelsi quella che “garantiva un futuro”, una scuola tecnica che sembrava la scelta più logica, la più sicura. Ma ogni mattina, mentre varcavo quella porta, sentivo di stare andando in direzione opposta rispetto a me stesso.

Non odiavo studiare, odiavo non capirne il senso. Mi sembrava di vivere dentro un copione scritto da qualcun altro: studia, trova un lavoro, sistemati. Un percorso lineare, ma senza vita.

Col tempo ho capito che quella scelta, apparentemente sbagliata, è stata in realtà la mia prima grande lezione. Perché a volte, solo percorrendo la strada sbagliata, capisci davvero quanto desideri la tua.

 

Il lavoro per sopravvivere, non per vivere

Dopo il diploma arrivò il momento di “diventare adulto”. Università? L’ho frequentata per pochi mesi. Mi ero iscritto addirittura a Ingegneria Elettronica, un’altra scelta completamente sbagliata. Non volevo perdere altri anni dietro qualcosa che non sentivo mio e, soprattutto, odiavo pesare sui miei genitori. Volevo a tutti i costi sentirmi autonomo, guadagnare i miei soldi e costruirmi una vita mia.

Così iniziai a lavorare. Non per passione, ma per sopravvivere.

Da un piccolo paese della provincia di Caserta mi trasferii al Nord, a Milano, dove avevo un appoggio da mio fratello maggiore. Mi bastava che fosse un lavoro sicuro, con uno stipendio fisso, un contratto indeterminato, un po’ di stabilità. I primi mesi furono duri. Cambiai diversi lavori e ricordo ancora il trauma di essermene andato, a soli vent’anni, in un posto così grande. Non conoscevo nessuno, piangevo quasi ogni sera.

In molti lavori mi trattavano come un estraneo, quasi come un immigrato. Vuoi per l’accento, vuoi per i modi diversi di fare, ma davvero mi sentivo – e mi facevano sentire – una nullità. Ero solo un ingranaggio, un mezzo che serviva a qualcun altro per fare soldi.

Poi trovai quello che all’epoca mi sembrò oro colato: un lavoro a tempo indeterminato in una grande azienda. Non era più un lavoro da semplice operaio, ma qualcosa di più. Pensai: “Ce l’ho fatta.”

Ma come sempre, non è oro tutto ciò che luccica. Anno dopo anno feci carriera e mi convinsi che quella fosse la mia strada. Volevo a tutti i costi fare quella che si dice “Arrampicata sociale”: e in un certo senso riuscì a farlo, da operaio a operaio specializzato, poi capo reparto, fino a diventare manager. Ero così convinto che iniziai quella corsa come un forsennato. Arrivai perfino a candidarmi per un ruolo da manager, che poi, per fortuna, non arrivò mai.

La verità è che quella stabilità era solo apparente. Mi svegliavo ogni mattina con la sensazione di stare sprecando tempo, di vivere in pausa. Eppure continuavo, come fanno in tanti, perché “almeno ho un lavoro”. Poi arriva un giorno – e non sai dire quando – in cui capisci che lavorare solo per arrivare a fine mese è un modo lento per morire. Il corpo va avanti, ma dentro non c’è più niente.

Ecco perché oggi dico sempre:

“Non accontentarti di sopravvivere solo perché ti hanno insegnato a temere l’incertezza. L’incertezza è il prezzo della libertà.”

 

Il buio, la caduta e il nuovo inizio

Dopo aver trovato quello che pensavo fosse il lavoro dei sogni, arrivò anche quella che credevo fosse la relazione dei sogni. Tutto sembrava perfetto, almeno in apparenza: un buon lavoro, una relazione stabile, una casa condivisa, la vita “giusta” che tutti si aspettano da te. Ma, anche in questo caso, non era oro tutto quello che luccicava. Con il tempo mi accorsi che quella felicità era solo un abbaglio, una costruzione fragile dietro cui cercavo di nascondere le crepe che ormai sentivo ogni giorno. I segnali c’erano, chiari, costanti, ma li ignoravo. Mi dicevo che andava bene così, che dovevo solo resistere un po’, che era normale sentirsi stanchi o insoddisfatti. Ma dentro di me qualcosa iniziava a cedere.

Fu in quel periodo che cominciarono gli attacchi di panico. All’inizio erano episodi isolati: una stretta al petto, il cuore che accelerava senza motivo, la sensazione di non riuscire a respirare. Poi diventarono una costante. Mi svegliavo nel cuore della notte con la testa che ronzava e la paura di impazzire. Il mio corpo stava parlando chiaro: non potevo più fingere. Non potevo più vivere una vita che non sentivo mia. Era come se ogni attacco fosse un messaggio: “Devi cambiare direzione.”

Cercai di resistere, di nascondere tutto. In fondo, da fuori sembrava che avessi tutto: un buon lavoro, una relazione stabile, un futuro tracciato. Ma dentro era il caos. Ogni giorno era una lotta per apparire “normale”, mentre la mia mente mi trascinava sempre più giù. Il corpo era presente, ma la testa era altrove. Mi sentivo intrappolato in una gabbia invisibile fatta di abitudini, doveri e paure.

Dopo quasi un anno vissuto così, arrivò anche la fine della mia relazione più lunga. Sette anni insieme, di cui sei di convivenza. Una quotidianità piena di riti, gesti, progetti condivisi. Quando tutto finì, fu come se il mondo intorno a me si fosse spento di colpo. Ricordo il silenzio di quella casa, le stanze vuote, la sensazione di non sapere più dove andare né chi fossi. Mi sentivo svuotato, perso, come se qualcuno mi avesse tolto la terra da sotto i piedi.

Eppure, proprio in quella solitudine, accadde qualcosa. Iniziai a guardarmi dentro, per la prima volta dopo anni. A chiedermi chi fossi, al di là dei ruoli, delle etichette, delle aspettative. “Chi sono, se tolgo tutto il resto?” È una domanda che fa paura, ma che cambia tutto. Perché quando la affronti davvero, smetti di rincorrere ciò che non ti serve e inizi a ricostruirti da zero.

Capì che il dolore non era un ostacolo, ma un segnale. Mi stava dicendo che era tempo di tornare a essere me stesso, di ritrovare quella parte autentica e creativa che avevo soffocato per troppo tempo. Fu il mio punto di rottura, ma anche il primo passo verso una nuova consapevolezza.

 

Il ritorno alla creatività (e al corpo)

Dopo mesi vissuti nel buio, gli attacchi di panico erano diventati parte della mia quotidianità. All’inizio cercavo di nasconderli, di far finta che non stesse succedendo niente, ma erano lì, pronti a colpire nei momenti più inaspettati. Arrivarono al punto di rendere difficile persino uscire di casa e andare al lavoro. Ogni mattina era una sfida. Mi svegliavo già con il cuore pesante, e bastava poco per farmi precipitare nel panico. Era come vivere costantemente in allarme, con la mente che correva troppo e il corpo che non riusciva a stare al passo.

La svolta arrivò quando decisi di chiedere aiuto. Per fortuna trovai uno specialista molto bravo, e già dopo la prima seduta mi sembrò di respirare di nuovo. Non era magia, era solo la sensazione di non essere più solo, di sapere che qualcuno finalmente capiva cosa stava succedendo dentro di me. Continuai la terapia per circa due anni, e lentamente iniziai a risalire. Gli attacchi di panico non scomparvero del tutto, ma imparai a gestirli, a riconoscerli e a non farmi più travolgere. E soprattutto, iniziai a capire cosa volessero davvero dirmi.

Il dottore mi disse una frase che non dimenticherò mai: “Devi tornare a fare le cose che ti facevano stare bene.” Quella semplice frase mi rimase dentro come una piccola scintilla, una pulce nell’orecchio che piano piano crebbe. Così, accanto alla terapia, tornai a fare sport. Ripresi a muovermi, letteralmente. Cominciai a correre, a camminare, a dedicarmi di nuovo alla palestra. Mi resi conto che quando il corpo si muove, la mente si apre. Ogni passo era una piccola vittoria contro la paura, ogni goccia di sudore un atto di resistenza. Muovermi mi restituiva una forma di controllo, la sensazione che qualcosa dentro di me stesse tornando a funzionare.

Ma non fu solo lo sport a salvarmi. Un giorno, quasi per caso, tirai fuori la vecchia macchina fotografica che avevo abbandonato da anni. Prima la fotografia era solo un passatempo, qualcosa che facevo ogni tanto, senza troppa convinzione. Ma quella volta fu diverso. Guardare attraverso il mirino, osservare le luci, le prospettive, le persone, mi riportò indietro a quella parte di me che avevo dimenticato. Ho sempre avuto una grande attrazione per le arti visive, per tutto ciò che è visione, luce, movimento, racconto. E in quel momento la fotografia tornò a essere non solo un gesto, ma una terapia.

Scattare era come respirare di nuovo. Guardare il mondo attraverso un obiettivo mi faceva sentire presente, vivo. Era come se ogni immagine mi dicesse: “Guarda, la vita è ancora qui. E tu pure.” Non era solo la fotografia in sé a darmi pace, ma lo stato mentale che mi portava. Quando avevo la fotocamera in mano, il tempo si fermava. L’ansia si zittiva. Tutto tornava al suo posto.

E poi, come spesso accade quando segui ciò che ti fa stare bene, la vita inizia a metterti sulla strada giusta. Dopo qualche anno che avevo ripreso a scattare, conobbi una persona che sarebbe diventata un grande amico e che, come me, aveva una storia simile: anche lui veniva da un periodo difficile, anche lui aveva trovato rifugio nella creatività. Era un artista vero, pieno di idee, di energia, e insieme decidemmo di intraprendere un nuovo percorso.

Cominciammo a viaggiare, a fotografare, a raccontare storie attraverso i video. Non era solo un progetto, era una nuova vita che stava prendendo forma. La fotografia, i viaggi e la creatività erano diventati la mia medicina. Da quel momento, senza rendermene conto, stavo già costruendo la base di quello che oggi è il mio lavoro: raccontare il mondo attraverso i miei occhi, e trasformare il mio percorso personale in un messaggio per gli altri.

 

Corso Base di Fotografia

Quando ho capito che la fotografia era la mia via di rinascita, ho deciso di creare un percorso dedicato a chi vuole iniziare da zero.
Corso Base di Fotografia — lezioni pratiche, semplici ma profonde, per imparare a fotografare con consapevolezza e ritrovare il piacere di creare.
Non è un corso tecnico: è il punto di partenza per chi vuole guardare il mondo con occhi nuovi.

 

Il primo viaggio e la scoperta della Content Creation

Dopo aver ritrovato me stesso e una nuova energia attraverso la fotografia, arrivò il momento del primo vero viaggio. Con quell’amico con cui avevo ricominciato a credere nella creatività decidemmo di partire per la Thailandia e il Vietnam. Era il 2018. Due Paesi che fino a quel momento avevo solo visto sulle mappe o in qualche documentario, ma che sarebbero diventati il simbolo di una rinascita.

Fu un viaggio pieno di prime volte. La prima volta dall’altra parte del mondo, la prima volta con una fotocamera al collo non solo per scattare foto, ma per raccontare qualcosa. Ogni giorno era una scoperta: le strade caotiche di Bangkok, i mercati notturni di Chiang Mai, la quiete dei templi, la luce calda che filtrava tra i fili elettrici delle città asiatiche. Poi il Vietnam, con i suoi contrasti, le persone che ti accolgono con un sorriso e la sensazione costante di vivere dentro un film.

In quel viaggio trovai qualcosa che non avevo mai provato prima: un senso di libertà profonda, quella di svegliarmi ogni mattina con la voglia di scoprire, di osservare, di capire. Con il mio amico, anche se ci conoscevamo da poco, sembravamo fratelli. Avevamo la stessa curiosità, la stessa fame di mondo, la stessa passione nel voler catturare momenti. Era come se ci fossimo trovati per caso, ma in realtà niente avviene per caso.

Ogni giorno giravamo con la fotocamera in mano, scattando foto e registrando video, cercando di raccontare ciò che vivevamo, le persone incontrate, i dettagli che di solito passano inosservati. Non era solo “fare video” o “fare fotografie”: era un modo di guardare il mondo. Un linguaggio nuovo. Mi accorsi che dietro ogni immagine c’era la possibilità di trasmettere un’emozione, un pensiero, un messaggio.

Durante una sera a Chiang Mai, in mezzo ai suoni dei motorini e al profumo delle spezie, vidi per la prima volta dei ragazzi che giravano vlog e documentavano il loro viaggio. Non erano turisti, erano storyteller. Raccontavano la loro vita con una fotocamera, condividendo ciò che vivevano in modo autentico. Fu una rivelazione. Non sapevo ancora come, ma capii che volevo farlo anch’io.

Quel viaggio mi aprì un mondo. Mi mostrò che si poteva vivere diversamente, che il lavoro non doveva per forza essere una prigione, ma poteva diventare un’estensione di ciò che sei. Capì che la creatività, se seguita fino in fondo, non è solo una passione ma una direzione di vita. Forse non avevo ancora tutti gli strumenti per farlo, ma avevo finalmente trovato il mio “perché”.

Da quel momento nulla sarebbe più stato come prima.

 

Guida alla Fotografia di Viaggio

Quel primo viaggio mi ha cambiato la vita. Ed è proprio per chi vuole fare lo stesso passo che ho creato la mia Guida alla Fotografia di Viaggio.
Un manuale pratico e ispirazionale per capire come prepararsi, che attrezzatura usare, come gestire la luce e raccontare il mondo con autenticità.
È più di una guida tecnica: è un invito a partire, a scoprire e a raccontare la tua storia.

 

La pandemia e la scelta più difficile

Poi arrivò il 2020. Il mondo si fermò. E con esso tutte le nostre certezze. Le strade vuote, il silenzio irreale, la sensazione che la vita avesse premuto “pausa”. Molti hanno vissuto quel momento come una prigione, ma per me fu l’esatto contrario: una possibilità. Quel tempo sospeso, chiuso in casa da solo, mi costrinse a guardare in faccia tutto ciò che avevo evitato per anni. Era come se il mondo intero si fosse fermato solo per mettermi davanti alla verità: dovevo cambiare vita.

Mentre tutti erano preoccupati per il futuro, io vedevo un segnale, quasi una risposta. Mi ripetevo che non potevo più tornare indietro, non potevo più fare quel lavoro che ormai avevo iniziato a odiare. I turni massacranti, le ore spese per altri, la sensazione costante di non avere mai tempo per me. Era come vivere dentro una gabbia. Il mio tempo non era più mio: decidevano tutto gli altri, l’azienda, i ritmi, le ferie, le giornate. Non potevo scegliere nulla. Mi sentivo soffocare, fuori posto, lontano da me stesso.

Ricordo una sera in particolare, in silenzio, seduto al tavolo della cucina. Guardavo fuori dalla finestra e tutto era immobile. Eppure dentro di me qualcosa si muoveva. Fu lì che capii che quella pausa forzata non era una punizione, ma un’occasione per rinascere. Dovevo provarci, a costo di perdere tutto. Così presi la decisione più coraggiosa e spaventosa della mia vita: lasciare il mio lavoro stabile e dedicarmi completamente alla fotografia, ai viaggi e alla creazione di contenuti.

Non avevo un piano perfetto, nessuna sicurezza. Ma avevo una visione chiara: non volevo più vivere una vita che non mi rappresentava. Sapevo solo che non sarei più tornato in quell’azienda, e infatti non lo feci mai più. Da quei giorni, in cui tutti restavano chiusi in casa aspettando che tutto tornasse come prima, io decisi che non volevo che niente tornasse come prima. Da quel momento è iniziato tutto: le prime collaborazioni, i primi video, i primi articoli. E, soprattutto, la sensazione di stare finalmente costruendo qualcosa di mio.

Non è stato facile, e non lo è nemmeno oggi. Ma ogni giorno, anche nei momenti di incertezza, so di camminare sulla mia strada — quella che ho scelto io, non quella che qualcun altro ha deciso per me.

 

Trovare la propria strada (anche se non è quella che gli altri approvano)

Oggi, guardandomi indietro, vedo una serie di errori perfetti. Ogni passo falso, ogni caduta, ogni notte insonne mi ha portato esattamente qui. Non è stato un percorso lineare, e nemmeno facile, ma era mio. Tutto ciò che un tempo consideravo sbagliato, oggi lo vedo come parte di una costruzione più grande. La verità è che nessuno ti insegna davvero a fidarti di te stesso: lo impari solo quando non hai altra scelta.

Se dovessi dare un consiglio a chi sta leggendo direi questo: non cercare la strada giusta, cerca la tua. Viviamo in un’epoca straordinaria, in cui le possibilità sono infinite e dove davvero puoi costruirti un percorso su misura. Puoi farlo a 20, 30, 40 o 60 anni. Non è mai troppo tardi per cambiare, per imparare, per ricominciare. L’unica cosa che conta è sapere perché lo fai.

Il cambiamento non nasce da grandi gesti, ma da piccoli atti di onestà verso se stessi. A volte basta ammettere che non sei felice, che quello che fai non ti rappresenta più. È da lì che tutto comincia. Quando smetti di mentire a te stesso, il mondo intorno a te inizia a spostarsi. Non subito, ma lentamente, fino a rimettersi in equilibrio con quello che sei diventato.

Oggi non vivo una vita perfetta, ma è mia. Ogni giorno, anche nei momenti più difficili, so di stare seguendo la mia direzione. E ogni volta che prendo in mano la fotocamera e parto per un nuovo viaggio, mi ricordo di quanto sia prezioso il coraggio di ricominciare. Perché la verità è che non serve avere tutto sotto controllo. Serve solo la voglia di provare, anche quando fa paura.

 

Sessioni di Coaching 1:1 o Workshop dal Vivo

Se senti che è arrivato anche per te il momento di cambiare, ma non sai da dove partire, possiamo lavorarci insieme.
Nelle mie [sessioni di coaching 1:1] e nei [workshop dal vivo] aiuto fotografi, creator e viaggiatori a costruire la propria direzione, a trovare il proprio stile e a trasformare la passione in percorso.
Perché non serve sapere tutto: serve solo cominciare.

 

Conclusione — L’arte di perdersi per ritrovarsi

Trovare la propria strada non significa capire subito cosa vuoi fare nella vita, ma accettare di perderti lungo il cammino. Significa permetterti di cambiare idea, di fallire, di fermarti, di ricominciare. Significa smettere di vivere secondo i binari che gli altri hanno costruito per te e iniziare a disegnare i tuoi.

Siamo cresciuti con l’idea che la vita sia una corsa verso un traguardo, ma la verità è che la vita è un ritorno verso se stessi. Tutto ciò che accade — le cadute, le scelte sbagliate, le svolte improvvise — serve a riportarti lì, al centro. E più resisti, più ti allontani.

Se oggi ti senti perso, ricordati che è proprio da lì che inizia tutto. Perché solo chi si perde può davvero ritrovarsi. Non avere paura di mollare ciò che non ti fa stare bene, anche se agli occhi degli altri può sembrare una follia. Non devi sapere subito chi sei o dove stai andando: devi solo avere il coraggio di non restare dove non appartieni.

 

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Se sei interessato a migliorare le tue abilità fotografiche, ti invito a dare un'occhiata alle risorse disponibili sul mio sito, come:

Corsi: Segui i miei Corsi di Fotografia partendo dalle basi fino alla Street Photography.

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