E se l’amore non fosse quello che pensi?
C’è una parola che usiamo troppo e capiamo poco: Amore. È una di quelle parole che usiamo ovunque: nelle relazioni, nel lavoro, nelle bio di Instagram, nei post “motivazionali” che girano ovunque. “Fai quello che ami”, “ama te stesso”, “segui le tue passioni”. Però poi ti ritrovi la sera sul divano, il telefono in mano, e non ti senti né innamorato né particolarmente ispirato. Ti senti solo stanco. E inizi a chiederti: ma che cos’è davvero, ‘sta cosa che tutti chiamano amore?
Per me l’amore non è mai stato solo “ti amo” detto a qualcuno. È stato il modo in cui mi sono sentito in certe città, in certe strade, in certe luci. L’amore è stato Tokyo e Kyoto al mattino presto, quando cammini nei vicoli meno conosciuti, lontano dalle vie piene di insegne e negozi, e inizi a osservare i gesti di chi lì ci vive davvero: il signore che apre il negozio sempre alla stessa ora, la signora che sistema le piante fuori casa, gli studenti in uniforme, i saluti, le piccole routine silenziose. In quei momenti ho sentito una cosa molto semplice e molto forte insieme: qui ci vivrei. Un’energia pulita, una voglia di fare, un modo di stare al mondo che noi occidentali spesso non immaginiamo nemmeno finché non lo vediamo con i nostri occhi. È stato Hong Kong vista attraverso gli occhi di Fan Ho, è stato il primo viaggio in Asia tra Thailandia e Vietnam con la mia fotocamera al collo e quella sensazione di essere finalmente nel posto giusto. È stato sedermi per terra in una stanza in affitto, davanti al portatile, a montare un vlog che sapevo non avrebbe fatto milioni di views, ma che mi faceva stare bene dentro. Nessuno mi aspettava, nessuno me lo chiedeva: eppure lo facevo.
E poi c’è l’altro lato: l’amore che non riconosci, quello che confondi con l’abitudine. Resti in una relazione perché “ormai è così”, resti in un lavoro che non ti rappresenta più, resti in una città che non senti tua. Continui a dire “vabbè, passerà”, mentre intanto ti spegni. Finché arriva un punto in cui o ti dici la verità o ti perdi del tutto.
In questo articolo non voglio fare il guru, né scrivere l’ennesimo pezzo zuccheroso sull’amore. Voglio solo raccontarti come ho capito, sulla mia pelle, che l’amore non è solo chi hai accanto, ma soprattutto cosa scegli ogni giorno quando nessuno ti guarda. E perché, se ti senti smarrito, ha senso ripartire proprio da lì.
Chi sono e perchè leggere questo articolo
Se mi leggi per la prima volta: sono Walter Stolfi, fotografo di viaggio e street, con un debole per i luoghi che raccontano storie senza bisogno di gridarle [ scopri di più su di me ]. Ho camminato mercati all’alba a Manila, ho cercato la luce tra i vicoli di Tokyo, ho fotografato la mia terra e i suoi silenzi, ho costruito un canale YouTube e un blog in cui provo a tenere insieme onestà, strada e racconto. Le “recensioni” mi annoiano quando diventano schede tecniche: preferisco mostrare come uso gli strumenti quando sono in cammino, perché è lì che la fotografia torna umana.
Non scrivo per convincerti che ho la verità in tasca: scrivo per restituire esperienza. Ho sbagliato, ho cambiato strada, ho perso e poi ritrovato direzioni. Ogni volta che ho scelto l’amore (per il mio lavoro, per le persone giuste, per la mia voce) ho fatto un passo. Piccolo, ma nella direzione buona. Questo articolo è quel passo, condiviso.
Do for Love (fare per amore)
La prima volta che ho ascoltato Do for Love di 2Pac non stavo pensando alla fotografia. Stavo solo ascoltando musica come faccio da sempre: hip hop vecchia scuola, quelle tracce che sembrano parlare d’amore ma in realtà parlano di sopravvivenza, di incastri mentali, di dipendenze emotive. In quel brano non c’è la storia d’amore perfetta: c’è caos, attaccamento, tentativi, errori. E c’è una frase che mi è rimasta incollata addosso: “You tried everything, but you don’t give up.”
Quante volte, nella vita, facciamo esattamente questo? Proviamo tutto, ci incasiniamo, facciamo giri assurdi… ma continuiamo a restare. A volte con le persone sbagliate, altre volte — quando siamo fortunati — con le cose giuste.
Nel mio caso, “restare” è stato continuare a fotografare e creare contenuti anche quando non aveva nessun senso logico. Quando caricavo un video su YouTube e lo vedevano in dieci. Quando scrivevo un articolo sul blog e mi chiedevo: “Ma chi se lo legge?”. Quando a fine giornata guardavo le statistiche e mi dicevo: “Ok, l’algoritmo oggi non è dalla mia parte”. Eppure il giorno dopo ricominciavo. Non perché fossi masochista, ma perché fare queste cose mi teneva vivo. Era ed è il mio “do for love”. Non per i numeri, non per le aziende, non per i complimenti. Perché mi serviva, punto.
“Fare per amore” per me è questo: continuare anche quando non conviene, quando nessuno ti applaude, quando non c’è un ritorno immediato. È prendere la camera e uscire lo stesso anche se il cielo è grigio. È mettersi a montare la sera tardi, sapendo che potresti anche spegnere tutto e guardare Netflix. È riscrivere dieci volte un testo finché non senti che finalmente ti rappresenta. L’algoritmo, il mercato, le mode: tutto cambia in fretta. Se ti basi solo su quello, sei finito. L’unica cosa che può tenerti stabile è quella rotta interiore che ti dice: “Questo lo faccio perché lo amo”.
E non è romanticismo: è una forma di disciplina. Ogni volta che mi chiedo “ma chi me lo fa fare?”, la risposta è sempre la stessa: lo faccio per amore della vita che voglio costruire, non per l’approvazione del momento. Ed è incredibile vedere come, quando resti fedele a quella cosa lì, nel tempo iniziano ad arrivare anche i risultati “esteri”: collaborazioni, lavori, persone che ti scrivono perché si sentono capite. Ma se inseguissi solo quello, avrei mollato da un pezzo.
Amore vero o solo abitudine?
Qui il terreno si fa scivoloso, ma è proprio quello il punto. Quando parlo di amore non parlo solo di coppie e cuoricini, ma è impossibile ignorare il tema delle relazioni. Nella vita passiamo tutti attraverso storie lunghe, storie brevi, storie che sembrano avere un potenziale enorme e poi si sgonfiano. A volte restiamo dentro queste storie non perché siano giuste, ma perché fanno comodo. Per abitudine, per paura di restare soli, per paura di ricominciare. O perché ci raccontiamo che “in fondo è una brava persona”, come se questo bastasse a reggere una vita insieme.
La verità è che spesso chiamiamo amore cose che amore non sono. Sono affetto, sono gratitudine, sono attaccamento, sono paura. Sono un “più facile restare che andarsene”. A me è capitato diverse volte di trovarmi in situazioni in cui, sulla carta, c’erano tutti i presupposti: una persona buona, dei momenti belli, un percorso di anni alle spalle. Eppure dentro sentivo quella vocina fastidiosa che diceva: “Non è qui che ti vedi tra dieci anni”. E che cosa ho fatto, la prima volta? L’ho zittita. Ho tirato avanti, mi sono raccontato la solita storia: “passerà, è solo un periodo, in fondo va bene così”.
Il problema è che quando spegni quella voce lì in una parte della tua vita, inizi a spegnerla anche nelle altre. Ti ritrovi a fare la stessa cosa col lavoro, con i progetti, con la città in cui vivi. Resti dove non stai più bene perché è più semplice che affrontare la verità. Ma l’onestà, a un certo punto, ti presenta il conto. E quando finalmente decidi di guardare le cose in faccia, ti accorgi che non è solo una relazione a non funzionare: è il modo in cui ti sei messo da parte.
Per me distinguere l’amore vero dall’abitudine è stato un processo, non un momento singolo. Ho dovuto ammettere che alcune scelte le avevo fatte per paura, non per amore. Ho dovuto lasciare andare relazioni, progetti, idee di me stesso che non mi somigliavano più. Fa male, perché crolla la narrazione che ti eri costruito. Ma subito dopo quella botta lì, succede una cosa strana: recuperi energia. Recuperi tempo. Recuperi sguardo. Improvvisamente ricominci a fare spazio alle cose che davvero ami: alla fotografia, al viaggio, alle persone che ti fanno sentire visto, non solo “sopportato”.
Non sto dicendo “molla tutto e scappa”. Sto dicendo: smetti di raccontarti che certe cose sono amore quando sai benissimo che non lo sono. E chiediti, con calma ma senza sconti: cosa nella mia vita è amore autentico, e cosa è solo paura di cambiare? Le risposte fanno tremare, ma sono quelle che ti rimettono in carreggiata.
Piccoli gesti per coltivarlo (oggi, non domani)
L’amore si allena. Non con grandi rivoluzioni, ma con pratiche minime e ripetute:
Rituale da 10 minuti. Ogni giorno. Una foto, tre righe, una clip. Non per pubblicare: per allenare il muscolo della presenza.
Camminata senza cuffie. Nessuna distrazione. Osserva come cade la luce, ascolta il rumore delle ruote sull’asfalto bagnato, annota mentalmente un’inquadratura.
Un “no” protettivo. Togli una cosa che ti svuota (una collaborazione che non ti rappresenta, una uscita che fai “per dovere”). Il vuoto che resta è spazio di ossigeno.
Un “sì” che ti muove. Prenota un treno breve, fotografa un quartiere nuovo, iscriviti a un laboratorio: piccolo ma reale.
Diario di verifica. Una volta a settimana rispondi a tre domande: Cosa mi ha acceso? Cosa mi ha spento? Cosa scelgo la prossima settimana?
Mini-progetto “Do for Love”. Tema semplice (luce delle 7:30, mani, ombre, dettagli del tuo quartiere). Dieci scatti in dieci giorni. Nessun giudizio, solo coerenza.
Queste pratiche non “risolvono la vita”. La rimettono in asse. E quando sei in asse, smetti di cercare scorciatoie: fai il lavoro, con calma e testardaggine.
Strumenti che ho creato per aiutarti a coltivarlo
Se vuoi trasformare questo sentimento in pratica quotidiana, ecco ciò che ho costruito per te (sezione breve, diretta):
Coaching 1:1 in videochiamata → ci conosciamo, scegli tu l’argomento e lo approfondiamo . [Prenota la tua sessione →]
Corso base di fotografia → fondamenta solide, meno confusione, più consapevolezza. [Scopri il corso →]
Corso di Street Photography → allena lo sguardo e racconta davvero ciò che vedi. [Scopri il corso →]
Guide fotografiche → strumenti pratici sempre con te. [Sfoglia le guide →]
Preset Lightroom → coerenza visiva e profondità alle tue foto. [Scarica i preset →]
Workshop dal vivo → esperienza di persona per approfondire meglio la fotografia [Prenota la tua sessione →]
Conclusione
Se sei arrivato fin qui, probabilmente una parte di questo discorso ti ha toccato da qualche parte. Magari sei in una relazione in cui “non stai male, ma neanche bene”. Magari hai un lavoro che paga le bollette ma ti spegne un pezzetto ogni giorno. Magari hai una macchina fotografica che prende polvere su una mensola da mesi, mentre dentro senti che ti manca qualcosa e non capisci nemmeno bene cosa. Ti capisco, perché ci sono passato anch’io: ci sono stati momenti in cui mi sentivo completamente fuori fuoco, come quelle foto mosse che butti via senza nemmeno riguardarle.
La verità è che non esiste il momento perfetto in cui “tutto sarà chiaro”. Non arriverà l’illuminazione stile film. Quello che esiste, però, è un gesto piccolo e onesto che puoi fare oggi. Non domani, non a gennaio, non “quando avrò più tempo”. Oggi. Prendere la camera e uscire a fare cinque scatti, senza aspettarti niente. Scrivere una pagina di diario in cui ti dici la verità, senza filtri. Ammettere che una cosa non ti fa più stare bene e iniziare, anche di pochissimo, a spostarti. Dire un no che ti protegge, dire un sì che ti accende.
“Creare per amore, non per l’algoritmo” per me significa questo: usare la fotografia, i video, le parole come strumenti per avvicinarmi alla vita che voglio davvero, non come decorazione di una vita che non sento mia. I numeri, i like, le collaborazioni possono essere bellissimi, ma non possono essere il centro. Il centro sei tu, è quello che provi quando spegni lo schermo e resti solo con te stesso.
Se ti va, via mail, raccontami il tuo gesto “Do for Love” di oggi. Può essere ridicolo agli occhi di qualcuno, ma se è vero per te ha già valore. Le vostre storie non sono solo “contenuti”: sono quella cosa che, ogni volta che penso di essere stanco, mi ricorda perché ho iniziato. E la risposta, alla fine, è sempre la stessa: l’ho fatto, e continuo a farlo, per amore.