Non ti manca la motivazione. Ti manca un metodo.

C’è un momento preciso in cui capisci che stai per mollare. Non è quando crolli. È un attimo prima. Quando ti senti ancora in piedi, ma dentro hai già iniziato a trattare l’idea come se fosse finita. La riconosci perché arriva con una frase che sembra innocua, quasi educata. Non ti insulta. Non ti prende a schiaffi. Sussurra soltanto: “Oggi no”. E poi, subito dopo, la versione più pericolosa: “Non posso”.

Io ci sono passato mille volte. Non parlo solo di fotografia. Parlo di tutto: i progetti, i video, gli articoli, le uscite in strada quando fuori fa freddo e il corpo cerca qualsiasi scusa per restare al caldo. Parlo di quella sensazione che ti prende quando ti metti davanti a un lavoro e ti sembra che stai per deludere qualcuno, anche se non c’è nessuno in stanza. Parlo del peso di dover essere all’altezza di un’idea che ti piace così tanto che quasi non vuoi toccarla, per paura di rovinarla.

 

Chi sono e perché questo articolo ti serve davvero

Mi chiamo Walter e vivo di storie. Le cerco per strada, nei viaggi, nei posti che sembrano normali finché non ti fermi davvero a guardare.

[ scopri di più su di me ]. Faccio fotografia, video, scrivo, e in questi anni ho capito una cosa che nessuno ti insegna quando inizi: il problema non è imparare una tecnica, il problema è restare in piedi quando la testa inizia a negoziare con te.

Ho fatto contenuti in cui ci ho messo l’anima e ho visto numeri bassi. Ho avuto giorni in cui mi sembrava di non avere niente da dire e altri in cui avrei voluto dire tutto ma non sapevo da dove partire. Ho vissuto quella fase in cui ami così tanto ciò che vuoi creare che ti paralizzi, perché ti sembra che se non sarà perfetto allora non vale. E se sei qui è probabile che tu conosca bene quella sensazione: non quella del “non voglio”, ma quella del “non posso”.

Questo articolo non è una spinta motivazionale da due minuti. È un pezzo di realtà. È per chi vuole costruire qualcosa di proprio e ha capito che la motivazione non basta, perché la motivazione va e viene, mentre la vita resta. Se ti riconosci in questo, allora leggilo fino in fondo. Non per diventare qualcun altro. Per diventare affidabile verso te stesso.

 

Le scuse non sono bugie: sono sceneggiature

La cosa assurda è che spesso il problema non è la mancanza di voglia. È il contrario. È che ci tieni troppo. Ci tieni così tanto che preferisci rimandare piuttosto che fare una cosa reale, imperfetta, criticabile. Perché finché resta nella testa, è pulita. È perfetta. È tua. Nel momento in cui la porti fuori, diventa esposta. Può essere ignorata. Può essere giudicata. Può farti sentire ridicolo. E allora la tua mente, che non è tua nemica ma è un animale che vuole tenerti al sicuro, fa quello che sa fare meglio: inventa una storia credibile.

Le scuse sono questo. Non sono bugie. Sono sceneggiature. E sono scritte bene, perché le scrivi tu. “Non ho tempo” suona serio. “Non è il momento giusto” suona maturo. “Prima devo studiare” suona responsabile. “Mi manca l’attrezzatura giusta” suona persino tecnico. E intanto ti tengono fermo. Ti costruiscono un alibi elegante, uno che non ti fa sentire un codardo. Ti fanno arrivare a “non posso” senza sporcarti le mani.

 

La trappola più grande: confondere motivazione con energia

Il punto non è smascherare le scuse una per una come se fossimo in tribunale. Il punto è capire che quasi sempre quelle frasi nascono nello stesso posto: la paura di guardarti davvero. Perché quando fai qualcosa di creativo, non stai solo creando una foto o un video. Stai mettendo sul tavolo una parte di te. E non è facile. Soprattutto se sei una persona che si giudica tanto, una di quelle che quando rivede un proprio video pensa subito “che voce strana”, “che faccia”, “che modo di parlare”, “non sono abbastanza”. Io lo so bene. È come ascoltarti in segreteria telefonica: ti senti estraneo, e insieme troppo vicino. È un fastidio che non sai spiegare, ma ti cambia la giornata.

Quando mi rivedo, mi rendo conto che non guardo mai solo il contenuto. Guardo tutto quello che c’è dietro. La stanchezza, le ore di montaggio, la scena in cui mi sono sentito fuori posto, il momento in cui volevo buttare la camera nello zaino e andarmene. E dentro quella memoria c’è una voce che non parla di tecnica, parla di identità. Parla di chi sei. Ed è lì che molti si rompono. Perché fare arte, in fondo, è un modo di rispondere a una domanda enorme senza pronunciarla: chi sono io, davvero?

E allora succede questo: cerchi motivazione. Cerchi la frase che ti accende. Cerchi il video che ti dà la botta. Cerchi l’energia. Ma la verità è che non ti serve motivazione. Ti serve un metodo che ti regga quando non ce l’hai. Ti serve qualcosa che non dipenda dal tuo umore. Perché l’umore cambia. Il tempo cambia. La vita cambia. E se la tua creatività dipende da come ti senti, allora è come una barca senza chiglia: ogni onda ti sposta.

 

Workshop di Fotografia

Se senti che ti serve un’accelerazione vera, quella che ti cambia la testa perché la vivi, allora i workshop sono il posto giusto. Perché a volte non serve capire di più: serve farlo, insieme, in una giornata reale.

 

Il metodo: il vero segreto delle persone che vanno avanti

Io la differenza l’ho vista quando ho smesso di trattare la creatività come un evento e ho iniziato a trattarla come un posto. Un posto dove torno. Non sempre con la stessa voglia, non sempre con la stessa energia, ma ci torno. Perché ho costruito un modo semplice per entrare nel processo. E quando l’ingresso è facile, entri anche quando hai la testa piena.

Mi ricordo una sera in viaggio, una di quelle in cui sei già stanco e hai gli occhi che bruciano. Avevo l’idea di uscire a scattare, ma la stanza d’albergo era calda e fuori c’era quella umidità appiccicosa che ti fa desiderare solo la doccia e il letto. In quei momenti la mente è geniale. Ti dice: “Domani sarà meglio”. E domani diventa dopodomani, e poi “quando torno a casa”, e poi “quando ho più tempo”. E così ti perdi la parte vera del viaggio, quella che non si ripete.

Quella sera mi sono salvato con una cosa banale: avevo già la camera pronta. Batteria carica, impostazioni sistemate, niente da montare, niente da scegliere. Ho infilato le scarpe e sono uscito quasi senza discutere con me stesso. Non perché fossi motivato. Perché avevo ridotto l’attrito. E quando sei stanco, l’attrito è tutto. Una scelta in più può farti rinunciare. Un passaggio in più può diventare la scusa perfetta. Se invece il gesto è semplice, diventa possibile.

 

Il metodo non è una gabbia: è una casa

Quando parlo di metodo, non intendo rigidità. Non intendo diventare una macchina. Intendo un modo per non lasciare che il caos decida al posto tuo. Intendo un posto mentale in cui sai cosa fai quando sei confuso. Perché quando sei confuso, se devi decidere tutto da zero, perdi. Non perché sei debole. Perché sei umano.

È questo che manca a molte persone: una casa creativa. Un luogo dove torni anche quando non sei “al massimo”. Un posto che non ti chiede di essere brillante ogni volta, ti chiede solo di essere presente.

 

Perché da soli ci vediamo male?

C’è un tema enorme che spesso ignoriamo: da soli ci vediamo male. Non in senso poetico, proprio in senso pratico. Da soli amplifichiamo i difetti e minimizziamo i progressi. Da soli siamo capaci di guardare una foto bella e dire “sì, però…”. Siamo capaci di fare un video onesto e dire “non mi convince”. E il problema è che quella voce sembra sempre intelligente. Sembra sempre giusta. E invece, spesso, è solo ansia travestita da critica.

Quando ho iniziato a confrontarmi con più persone, quando ho iniziato a parlare dei miei lavori in modo diretto, ho capito quanto è distorta la percezione che abbiamo di noi stessi. Una cosa che io consideravo “non abbastanza” per altri era potentissima. Una cosa che per me era “sbagliata” per altri era esattamente la parte che li colpiva. E non perché gli altri hanno ragione e tu torto. Ma perché serve uno specchio esterno, ogni tanto. Serve qualcuno che ti rimetta a fuoco.

 

Coaching 1:1 in Videochiamata

Se ti sei riconosciuto in questa parte, è normale. Da soli spesso ci distorciamo.

Se vuoi uno specchio pulito e una direzione chiara, faccio sessioni di coaching 1:1 in video chiamata dove guardiamo il tuo punto, il tuo blocco e costruiamo un piano semplice che regge anche quando l’entusiasmo cala.

 

I limiti non sono sempre il muro: a volte sono il linguaggio

A questo punto qualcuno mi dice: “Sì ok, ma io ho problemi veri. Ho limiti veri.” Certo. La vita non è una lavagna pulita. Ci sono limiti fisici, economici, familiari, psicologici. Ci sono giorni in cui sei a terra. Ci sono periodi in cui ti sembra di combattere con il tuo corpo, con le energie, con il tempo, con la salute. Non voglio fare finta di niente. Però voglio dirti una cosa scomoda: i limiti non sono sempre il muro. A volte sono il linguaggio.

Io come fotografo ho visto spesso questa dinamica. Quando hai troppe possibilità, ti blocchi. Quando hai un vincolo, inizi a vedere. Quando hai un confine, la mente smette di disperdersi. È paradossale, ma funziona. Se ti imponi un solo punto di vista, un solo luogo, un solo tema, improvvisamente la realtà ti parla. Se invece pensi “posso fare tutto”, ti perdi. Perché “tutto” è troppo grande. E il tuo cervello, davanti a qualcosa di troppo grande, preferisce non iniziare.

 

Corso di Fotografia Base

Se senti che ti manca una base solida e per questo rimandi, ho un corso di fotografia base pensato proprio per toglierti quel rumore di fondo.

Non per riempirti di teoria, ma per farti scattare con più sicurezza e meno confusione.

 

Il metodo che batte la procrastinazione: il pezzo dopo pezzo

È per questo che mi piace l’idea del pezzo dopo pezzo. Non come slogan, proprio come modo di vivere la creatività senza farsi schiacciare. Perché la verità è che le grandi trasformazioni non arrivano mai con la forza bruta. Arrivano con la ripetizione. Arrivano con il gesto piccolo che fai anche quando non ti va.

E qui voglio essere molto onesto: il gesto piccolo non ti dà subito l’euforia. Non ti fa sentire un eroe. Non ti fa sentire arrivato. Anzi, spesso ti sembra inutile. Ti sembra troppo poco. Eppure è lì che si vince, perché quel gesto è una promessa mantenuta. È una prova che non sei schiavo delle tue scuse.

Io ho visto persone cambiare la propria fotografia non quando hanno comprato la camera nuova, ma quando hanno smesso di negoziare con se stesse. Quando hanno smesso di cercare l’uscita perfetta, la luce perfetta, il momento perfetto. Quando hanno iniziato a uscire anche con la paura addosso. Anche con la timidezza. Anche con l’ansia di disturbare. Anche con la sensazione di non avere nulla da raccontare.

E sai cosa succede quando fai questo per un po’? Succede una cosa semplice: inizi a fidarti di te.

 

Corso di Street Photography

Se vuoi portare questo “pezzo dopo pezzo” nella strada, ho un percorso di street photography dove lavoriamo su approccio, paura, rispetto, lettura della scena e continuità. È il modo più concreto per trasformare l’intenzione in pratica.

 

La fiducia non arriva prima: arriva dopo

Questa fiducia è rarissima, oggi. Perché viviamo circondati da promesse non mantenute. Ci diciamo che iniziamo lunedì, che ricominciamo il mese prossimo, che dopo le feste. E intanto ci guardiamo allo specchio e ci sentiamo sempre uguali. Non perché siamo incapaci. Perché non ci diamo prove. E senza prove, la mente non crede alle tue parole.

La fiducia arriva quando ti dai una prova piccola e ripetuta. Non devi fare il capolavoro. Devi essere presente. Devi esserci. Devi tornare.

Un’altra cosa che ho imparato è questa: quando inizi a pensare in modo troppo commerciale, troppo strategico, troppo “come verrà percepito”, la mente si sporca. Si intorbidisce. Non sto dicendo che la strategia non serve. Io vivo anche di questo, e lo sai. Però se la strategia diventa la prima cosa, se la metti davanti alla voce, davanti all’onestà, davanti all’esperienza, allora perdi il centro. E quando perdi il centro, creare diventa pesante. Perché non stai più facendo una cosa che ti muove. Stai facendo una cosa che speri funzioni.

 

L’identità non nasce prima dell’azione: nasce dopo

Molti mi chiedono: “Come fai a restare costante?” La risposta non è romantica. Non è “sono ispirato”. È che ho imparato un metodo che non dipende dal mio stato d’animo. Ho imparato a ridurre le scelte inutili. Ho imparato a tornare alle cose piccole. Ho imparato a chiudere i cerchi invece di accumulare materiale infinito. Perché accumulare ti fa sentire produttivo, ma non ti fa crescere. Cresci quando chiudi. Quando scegli. Quando dici: “Questo è il mio lavoro, oggi.” E lo lasci andare nel mondo.

È anche per questo che spesso consiglio alle persone di non aspettare di sentirsi pronte per pubblicare, per mostrarsi, per fare un passo. L’identità non arriva prima dell’azione. Arriva dopo. Tu diventi fotografo facendo foto per abbastanza tempo da non poter più negare che quella è una parte di te. Tu diventi storyteller raccontando abbastanza da capire il tuo ritmo, la tua voce, la tua ossessione.

E sì, a volte ti sentirai scarso. A volte ti sentirai goffo. A volte ti sembrerà che gli altri siano sempre avanti. A volte ti verrà voglia di buttare tutto perché “non ha senso”. Fa parte del gioco. Non è un segnale che devi smettere. È un segnale che stai toccando qualcosa di vero. Perché la parte vera non è comoda.

 

Il vero obiettivo non è fare contenuti: è costruirti

E qui arriviamo al punto che mi interessa davvero: che cosa stai cercando, sotto la fotografia? Sotto i video? Sotto il bisogno di creare?

Io penso che tanti usino la creatività come una porta per una cosa più grande. Una cosa che non sempre riesci a dire ad alta voce. Forse stai cercando una direzione. Forse stai cercando una prova che puoi cambiare. Forse stai cercando un modo per sentirti vivo, non solo efficiente. Forse stai cercando un modo per tornare a te, in un mondo che ti tira da tutte le parti.

Se è così, allora capisci perché non basta la motivazione. Perché non stai cercando un trucco. Stai cercando una trasformazione. E una trasformazione non si fa con l’entusiasmo di un weekend. Si fa con un percorso. Si fa costruendo un modo nuovo di stare dentro alle cose.

 

Se vuoi accorciare la strada, serve uno specchio e un metodo chiaro

Io, nel mio lavoro con le persone, vedo spesso la stessa scena: qualcuno arriva convinto che il problema sia la tecnica. Vuole sapere come comporre, come usare la luce, come scegliere i colori, come gestire la street. Poi inizi a parlare davvero e viene fuori il vero blocco. È la paura di esporsi. È il sentirsi ridicoli. È il confronto. È l’idea di non avere niente di speciale. È l’incapacità di scegliersi. È la tendenza a mollare appena diventa difficile.

E allora il lavoro vero diventa un altro. Diventa costruire un metodo personale. Un modo per attraversare la paura senza farsi schiacciare. Un modo per essere costanti senza diventare macchine. Un modo per trovare la propria voce senza imitare nessuno.

Non ti prometto la bacchetta magica, perché non esiste. Però ti prometto una cosa che vale di più: la chiarezza. Quella chiarezza che ti fa capire che cosa stai facendo, perché lo stai facendo, e come farlo senza autodistruggerti. È questo che cerco di portare nei miei percorsi, nelle consulenze, nei workshop, nelle guide. Non l’ennesima teoria. Ma una pratica che puoi reggere. Una pratica che non ti chiede di essere perfetto, ti chiede di essere presente.

 

La domanda che taglia tutte le scuse

Ti lascio con una domanda semplice, che per me è diventata una specie di interruttore. Quando senti arrivare “non posso”, quando senti che la mente sta preparando l’alibi, prova a non combatterla. Non discutere. Non fare guerra. Chiediti soltanto: qual è la cosa più piccola che posso fare oggi senza tradirmi?

Non la cosa più grande. Non la cosa più bella. La cosa più piccola che mantiene vivo il filo. Una foto. Dieci minuti fuori. Un’idea scritta. Una selezione di immagini. Un messaggio a te stesso. Qualcosa che domani ti permetta di non ricominciare da zero.

Perché il vero inferno non è fallire. Il vero inferno è ripartire sempre da zero. Ogni volta. Con lo stesso entusiasmo finto e la stessa promessa che si rompe. E lo sai, perché ci sei già passato.

Se oggi sei in quel punto in cui vorresti mollare, non significa che non sei portato. Significa che stai arrivando vicino a una soglia. Le soglie fanno male. Le soglie chiedono un prezzo. Ma dall’altra parte, spesso, c’è una cosa che non trovi in nessun video motivazionale: la fiducia in te stesso.

Quella fiducia non si compra. Non si scarica. Non arriva perché qualcuno te la regala. Arriva perché un giorno, anche stanco, anche pieno di dubbi, anche con la testa che ti diceva “oggi no”, tu hai fatto comunque un passo piccolo. E il giorno dopo un altro. E poi un altro. E a un certo punto non sei più quello che rimanda. Sei quello che costruisce.

Se vuoi farlo da solo, puoi farlo. Ma se senti che ti serve uno specchio, un metodo chiaro, un percorso che ti metta ordine e ti faccia risparmiare anni di tentativi a vuoto, io ci sono. È esattamente il motivo per cui ho creato i miei percorsi: non per venderti una soluzione preconfezionata, ma per aiutarti a costruire il tuo metodo, quello che regge la tua voce, la tua fotografia, la tua storia.

Non serve diventare qualcun altro. Serve diventare affidabile verso te stesso. E questa è una delle sensazioni più potenti che puoi provare nella vita.

 

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